«Viaggiare, camminare. Riempirsi gli occhi e il cuore di cose belle. È questo il mio modo di combattere il cancro». Negli ultimi cinque anni Mauro Beccaria, 58 anni, pinerolese, ha percorso a piedi, da solo, qualcosa come 6mila chilometri viaggiando in 25 Paesi del mondo. E sì, anche grazie alla “terapia del sentiero” – come la chiama lui - il male terribile che lo aveva colpito nel 2012 si è davvero arrestato. «Ho terminato l’ultimo ciclo di chemioterapia nel dicembre del 2012 – dice -, da allora non prendo più nemmeno una pillola». I medici dell’IRCC di Candiolo che lo avevano in cura parlano di “remissione”: il tumore non si muove più e dunque non fa danni.
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La vita di Beccaria, panettiere a Pinerolo dall’età di 14 anni con una passionaccia per i viaggi e per il trekking condivisa dalla moglie Angelica, cambia improvvisamente nel giugno del 2012. Lui ricorda quella maledetta notte d’estate: l’emorragia interna, la paura, la corsa in ospedale. Ci resterà un mese. Poi la diagnosi: emangioendotelioma all’addome, un tumore vascolare raro. Inevitabile il passaggio all’IRCC di Candiolo e l’inizio della chemioterapia. Sono cicli terribili, da 72 ore.
Dopo la prima terapia il male sembra concedere una pausa. Mauro non ci pensa due volte e si regala, insieme con la moglie, tre giorni in Trentino. Poi un’altra chemio seguita da un mini-viaggio in Ungheria. Dopo il terzo ciclo, un momento importante. «Per la prima volta dopo la diagnosi - ricorda – sono tornato a camminare: una passeggiata da 15 chilometri in Liguria, da Camogli a Santa Margherita». Mauro si sente meglio e decide di riprovarci: altre camminate, questa volta a Positano, sulla costiera amalfitana. È la fase del “rodaggio”. A dicembre del 2012 termina la chemioterapia. I medici gli prospettano l’ipotesi di assumere alcuni farmaci che, però, presentano degli effetti collaterali: eritemi e soprattutto problemi di pressione arteriosa. «Ricordo di aver pensato: “Ma come farò ad andare sulle mie amate montagne”?», sorride oggi Beccaria. «Dissi che prima di decidere avrei voluto fare un viaggio in India». Fu la svolta e naturalmente quelle pastiglie non le prese mai. «Sono partito nel febbraio del 2013 – racconta – avevo già fatto tutti i documenti prima di avere l’ok dai dottori con i quali restavo comunque in contatto via mail. Sì, forse sono stato un po’ incosciente, ma dopo quello che avevo passato avvertivo il bisogno di scoprire quei luoghi, di attingere forza, energia, ossigeno. Sono state cinque settimane faticose, ma bellissime. Mi hanno cambiato. Per me è iniziato anche un viaggio interiore, la riscoperta di una fede più consapevole».
Dopo l’India, non si ferma più. Armato di zaino e scarponi, dormendo in rifugi, ostelli, alberghi e parrocchie, Mauro percorre due volte l’Italia, dal Monginevro a Santa Maria di Leuca. Poi via a saggiare itinerari in Francia, Spagna, Etiopia, Nuova Zelanda, Bolivia, tra i vulcani del Giappone. Aggregandosi a una spedizione conquista i 7mila metri della vetta dell’Aconcagua, in Argentina, la montagna più alta del continente americano. Non gli sfuggono nemmeno i 6mila del Kilimangiaro. Tanti incontri, tante scoperte, tanti momenti significativi. Quello più bello? «In Nepal feci amicizia con uno sherpa (un portatore, ndr) locale: un ragazzone di quasi due metri. Dopo che gli raccontai la mia storia mi disse che ero proprio un uomo forte, io così mingherlino…».
Il momento più difficile, invece? «Rammento che di fronte a un tempio indiano, in un giorno particolare per la religione induista, si erano ammassati tanti mendicanti. Mi sono trovato all’improvviso davanti a centinaia di persone senza gambe o braccia con la loro ciotolina per raccogliere l’elemosina: è stato davvero straziante…». Adesso Beccaria sta scaldando i motori per un viaggio in Israele. Mite e selvaggio, Mauro. Mite per i suoi modi gentili. Selvaggio, per la sua fame di vita.
Ma non ha mai avuto paura? «È proprio la paura il nostro peggior nemico. Ho visto tante persone andare in depressione dopo la chemioterapia, come se ci si dovesse arrendere. Invece no: combattete restando aggrappati a quello che vi appassiona. Per me sono stati i viaggi ed ha funzionato. Ogni volta che tornavo dall’estero per un controllo, la domanda di rito dei medici era: “Ok, dove andiamo la prossima volta? E non dimentichi di mandarci una foto”». Di fotografie ne ha inviate davvero tante. Al punto che ai dottori è venuta l’idea di raccoglierle in una mostra. Cento immagini da scoprire a Candiolo, nella piazza coperta al primo piano dell’istituto. I proventi della vendita delle fotografie (offerta minima 10 euro) esposte sino al 28 maggio, saranno devoluti alla Fondazione piemontese per la ricerca sul cancro. La mostra si intitola “Sono un ragazzo fortunato”. Fortunato, sì. E indomabile.
Fonte http://www.lastampa.it/2017/05/05/italia/cronache/cos-camminando-per-mila-km-ho-sconfitto-il-cancro-eeMs5UCIpk7BJksH4sKdcM/pagina.html
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