Nel mese di novembre di nove anni fa io e la mia famiglia passammo uno dei momenti più difficili della nostra vita. Insieme con mia moglie andammo all’ospedale per fare un day hospital perché mia moglie aveva una lacrimazione frequente all’occhio, il dotto lacrimale era otturato per cui era necessario praticare un’operazione chirurgica. Ma quel day hospital non fu tale, perché quando l’oculista vide il fondo dell’occhio di mia moglie, chiamò un altro oculista, e poi un altro, e poi un altro e un altro ancora. Alla fine c’erano dieci medici attorno a mia moglie. La portarono di corsa a fare un’ecografia all’occhio. Oggi i dottori non usano più mezzi termini, ma vanno direttamente a denunciare la diagnosi. E la diagnosi per mia moglie fu la seguente: “Melanoma della coroide”. Il melanoma è un tumore altamente metastatizzante e la coroide è l’unità funzionale dell’occhio”. In parole povere, gli diedero sei mesi di vita.
Ma la cosa peggiore che dissero che quel tumore non era primario, era partito da qualche altra parte, per cui incominciarono a fare tutti gli esami e gli accertamenti possibili. TAC, risonanze magnetiche, scintigrafie, ecografie, angiografie con mezzo di contrasto e senza mezzo di contrasto. La diagnosi fu la seguente: “Neoformazione della coroide, presenza di neoformazione solida cubiforme, tumore maligno occhio destro. Nell’occhio destro si osserva una piccola massa di due millimetri, situata sulla parte inferiore della retina. Si prepara la paziente per intervento chirurgico”. Gli fecero la visita anestesiologica, poi il medico si rivolse a mia moglie e gli disse: “Guardi lei sta lottando per conservare l’occhio e la vista. Poi lotterà fra la vita e la morte”. Parole fredde che come una spada attraversarono la nostra anima. Ci sembrò come se il mondo ci cadesse addosso, impauriti e spaesati da questa terribile notizia; facemmo quello che meglio sappiamo fare come cristiani: pregammo, pregammo e pregammo, mai come allora avevo tanto pregato. Eppure sono un pastore evangelico e prego tutti i giorni, ma quel giorno pregai con tutta la mia forza e la mia anima. Piangevo come un bambino. Mi dissi: “Come farò senza mia moglie, e i miei figli come faranno senza la madre? Con noi vivono anche i miei suoceri, chi li accudirà?”. Pensavo alle cose grandi e anche piccole. “Io non so neanche vestirmi, sono daltonico, non so mai mettere i colori insieme, come farò?”. Mille domande, mille interrogativi che sembravano non avere risposta. Poi squillò il telefono ed era un pastore di un’altra comunità che si mise in macchina e venne all’ospedale e pregammo insieme: questo mi confortò tanto. Tutte le comunità evangeliche pregarono in tutta Italia, da Bolzano a Palermo. Pregarono all’estero. Una notte i giovani della mia comunità e di altre comunità pregarono per tutta la notte.
Il giorno dopo la richiamai ma non volle rispondere, la paura di perdere la madre la sconvolse molto, anzi tantissimo. Siamo persone che viviamo per fede, ma quando all’improvviso, a ciel sereno ti arrivano delle prove non è facile da gestire, quando in ballo c’è la tua famiglia, la persona con cui hai deciso di condividere tutto dalla vita e poi ti si dice che al massimo sei mesi e poi morirà, anche se siamo figlioli di Dio, è sempre una grande prova da dover affrontare molto traumatica. Anche se in quei momenti sentivamo la pace di Dio nei nostri cuori e sapevamo che Lui non ci avrebbe mai abbandonato. Mia moglie fece un visita dalle nove meno un quarto fino all’una meno un quarto della mattina seguente all’ospedale di Siena. Venne prima un primario, poi un secondo primario, gli fecero tanti esami e infine si consultarono fra di loro. Poi all’improvviso entrò una professoressa e fece una domanda a mia moglie: “Signora, lei da dove viene?” “Da Bari” le rispose mia moglie, “Suo marito è un collega?” “No”, disse mia moglie: “Era infermiere anche se adesso non esercita più la professione”. La professoressa disse: “Come è piccolo il mondo, io la settima scorsa ero a Bari, ho tenuto un seminario sul cancro agli occhi, ho visto la sua cartella, io conosco tutto di lei”. La verità che non è il mondo piccolo, ma che Dio è grande. Un altro segnale dal cielo venne a consolare i nostri cuori, poi la professoressa continuò: “Adesso mi ascolti bene, le dirò prima le cose negative. Questo non è un melanoma!” Io preso dall’emozione gli misi la mia mano sul suo braccio e gli dissi: “Questo non è un melanoma!” “No”, rispose e poi continuò: “non è un melanoma, non è un tumore secondario, non è un tumore maligno e neanche un tumore benigno. Signora le debbo dire che il tumore non c’è proprio”. Allora i dottori vollero vedere le lastre, tutte quelle che gli fecero giù a Bari, ed erano tantissime. Il primario della radiologia così si espresso: “Il tumore sulle lastre c’è, ma nell’occhio il tumore è sparito, non c’è più”. La gioia che provammo io e mia moglie in quel momento fu indescrivibile, i nostri cuori traboccavano di gratitudine per Colui che ha detto: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Ebrei 13:5). Il nostro Dio è Onnipotente, e ascolta la voce del suo popolo, quando il popolo sa piegare le ginocchia e bussare alla porta della grazia e della misericordia. Gesù può fare ogni cosa e noi siamo onorati di appartenere alla grande famiglia di Dio. A Dio sia la gloria.
“Io altresì vi dico: chiedete con perseveranza, e vi sarà dato; cercate senza stancarvi, e troverete; bussate ripetutamente, e vi sarà aperto (Luca 11:9).
Domenico Modugno, Pastore di Modugno (BA)
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